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santa lucia

E’ lunedì, sono le 7:00, preparo il mio tè bianco.

L'inizio della settimana si fa lento. È la vigilia dell'uscita del mio sito, un anno di lavoro con l'obiettivo di renderlo più attuale, coerente, allineato a chi sono diventata.


La tecnologia mi frega sempre. La reputo fittizia poi invece è più dolorosa di una seduta di psicoterapia dalla quale vorrei solo correre via.

La tecnologia è quella tormentata e crudele struttura che ti chiede di essere visibile, comunicativa, diretta. Mi chiede di essere chiara, esplicita, lanciata nelle intenzioni e nelle domande. Come fosse una roba facile.

Lavorare per questa tecnologia, usarla, mi muove resistenze profonde, mette in subbuglio i miei conflitti interni. Li risveglia e li rende tangibili. Che alla fine non sono io ad usarla, è lei che usa me in effetti.


 

Ci ho messo un lungo anno di tempo, notti, fogli stracciati e mappe colorate per fare uscire questo restyling. Ho cercato di mettere in fila almeno qualcuno dei miei nuovi orientamenti. Ci ho messo un anno per trovare una o due direzioni da seguire. Mi è sempre riuscito più facile tracciare il passato, estremamente complesso raccontare il presente, tremando per il timore di immaginare il futuro.

Quando ti dicono che creare un sito web è qualcosa di necessario alla tua identità professionale, che ti renderà accattivante agli occhi degli altri, che ti presenterà sul mercato, che è proprio lo strumento imperdibile che ti posizionerà proprio là dove si sentiva la tua mancanza, non credere neanche un secondo che si tratti di un'operazione lineare, grafica, logica, da poter distrattamente consegnare ad altri, esperti e del settore. No. Sarà un disturbante e logorante lavorio interno, di dimensioni filosofiche imponenti che ti farà perdere l’appetito e rivoltare l’intestino.

E se questo è quello che è capitato solo a me, bene l’ennesimo argomento da portare alla mia terapeuta già messo nero su bianco.


Così come dover scrivere queste righe di riapertura del blog. Difficili. Come tutti gli inizi. Perché mi ricordano la fine che c’è stata prima. E’ la mia vena malinconica che torna a prendere spazio con prepotenza.


Un anno di lavoro. Un anno di processo biologico. I 47 pieni, tralascio le retoriche indicazioni per le donne etero che accedono, anche senza volontà, a questo anno di vita.

Scorro i miei diari solo per ricordare i banali travolgimenti incontrati, inciampare nella difficoltà più grande della mia vita: sentire i miei bisogni. Sono tornata a vivere l'insonnia come fosse una doppia vita, nella prima scopro la morbidezza. Poi anche disperazione e perdita, riconosco momenti sottili di gioia e compassione in azione, ma anche mi sento così sola da comprendere finalmente cosa ci unisce agli astri dell’intero universo.


Sfogliare le pagine dei diari, più di uno ovviamente, uno per i sogni notturni, uno per quelli diurni, uno per le fasi lunari e il ciclo mestruale (cerca Agendea di Giorgia Rocca che poi è la mia super counsellor grafica e web designer), uno per gli insight psico-somatici.

Sfoglio pagine una ad una per rileggere le mille righe di capitomboli: ho provato a fare ciò che amo e raccolto invidia e attacco, ho seguito chi amo e messo il piede in voragini di paura e resistenze, ho tentato di cambiare strada per seguire la coerenza del cuore perdendo l’uomo di latta e il leone senza cuoraggio.

Ho provato tanta vergogna, tanta vergogna per il mio oscuro, per le mie ombre, per la mia indecorosa vulnerabilità. Incontrare ciò che è fragile di me e che si perde, che muore senza il mio controllo, arrendermi alla malattia come scelta obbligata fino a chiamarla, a darle il nome di esperienza di trasformazione.


 

In questo anno ho potuto essere autentica, lo ho desiderato.

Ho cercato la strada per sentirmi. Ho incontrato ostacoli e inventato alibi. Ho guardato dentro al buio pensando ci fosse un mantra divino da ricevere in consegna. Ho respirato polvere e chiuso gli occhi per la metà del tempo. Mi sono persa quasi del tutto. Ho sbattuto contro gli angoli credendo facesse bene. Ho leccato le mie ferite cercando un letargo romantico, supplicando le amiche di dimenticarsi un po’ di me. Ho sentito la pelle piangere, urlare, bisognosa di una carezza di contatto. Ho sentito il suo dolore lungo una vita. Ho pianto quante lacrime avevo espirando a stento. Ma come si racconta spesso, alla fine ho visto la luce.

Come domani ad esempio. La luce ritorna a fare capolino. E’ Santa Lucia che porta la prima luce. Santa Lucia un po' amica di Santa Brigida, Brigit per noi che cerchiamo santi tra i pagani. Perché è alla Luce che tendo. È alla forza vitale che tutti abbiamo, che dedico la mia ricerca. La mia professione anche.

E allora eccoci qua. Insieme.

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