Le parole di Alda Merini aprono e accolgono il nostro salire sulla zattera di questo breve e squarciato viaggio verso il coraggio. In questi ultimi anni sento l’urgenza di esplorare e farmi condurre nell’esperienza di cosa il coraggio produca davvero nella vita. Nella mia, prima di tutto.
Conto quanti e quali siano gli stereotipi culturali sul coraggio, figli ancora ben nutriti da una cultura virile che chiede di essere forti e resistenti nonostante tutto, anzi, oltre tutto. Sperimento come questo valore patriarcale sia diffuso e ben radicato anche e soprattutto nelle relazioni tra donne e nei contesti vissuti e creati dalle donne stesse. Un coraggio declinato come un modello guerriero, combattente, “tutto d’un pezzo”, retaggio di negazione della ferita possibile, certamente sublimazione della fragilità.
L’interessante percorso di ricerca svolto da Alessandra Chiricosta 1 ci racconta del suo “sguardare” la forza femminile, del suo modo di abissarsi in altri significati possibili della forza stessa, del cercarne le radici nella mitologia classica e nelle pratiche di lotta orientale. Questo la conduce verso una nuova essenza da consegnare alle donne: un altro genere di forza, appunto. Seguendo i cinque movimenti della Medicina
tradizionale cinese, Chiricosta elabora un femminile potente eppure non subalterno all’idea della forza muscolare virile sempre molto cara al patriarcato. Acqua, Legno, Fuoco, Terra, Metallo sono gli elementi attraverso i quali decostruisce il concetto di forza, tradizionalmente identificato con la violenza e la forza muscolare virile, posto in opposizione dicotomica con le mulieres, esseri molli, deboli, soggiogati e disponibili. Nei suoi scritti scandaglia il divenire guerriere di giada, sirene interspecie che cantano la loro
forza, donne polpo che dagli abissi riaprono le possibilità di un’evoluzione non dicotomica. Un coraggio che include quindi, tutte le parti, la potenza dell’agire e la fragilità dell’essere, la tenacia dell’avanzare e il barcollare del dubbio, il fuoco della direzione e il tracollo nel buio. Ci offre un sentiero che cammina nella
“semplicità del divenire ciò che siamo, sapendo frantumare gli specchi mortiferi di identità preconfigurate”, essendo appunto molli, fragili, vulnerabili.
Quell’essere vulnerabili che leggiamo nella poesia di Merini che considero territorio da conoscere capace di portarci a nuova vita.
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Illustrazione di Anna Godeassi, Illustrator, dreamer, hunter clouds. https://annagodeassi.com/
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