Giuseppe, mio nonno paterno, emigrò dalla Sicilia in Europa nei primi anni '60. In quegli anni dall'Italia emigrarono più di un milione e mezzo di persone in cerca di un lavoro e di una condizione migliore.
Lui emigrò senza volerlo. Emigrò perché c'era bisogno di dare un pezzo di futuro ai bambini che aveva messo al mondo. Emigrò, credo, perché quel futuro, per diventare, aveva bisogno di presente. Svizzera tedesca, un piccolo paese ostile, avaro di manodopera stracciona. Era calzolaio mio nonno, le scarpe purtroppo gli svizzeri non usavano accomodarle. Quindi lasciò l'odore del pellame per la stanchezza del cemento. Francesca e i quattro bambini per anni misero fantasia in quella distanza, contando i giorni al suo rientro. Chi consumando lacrime, chi raccogliendo arance, chi incontrando arroganti prepotenti.
Dopo la Svizzera fu Milano. Si trasferirono tutti, trattati da emigranti terroni allo stesso modo. Perlomeno in un presente meno distante.
Mio nonno il suo essere migrante lo portò scritto in viso tutta la vita.
C'è qualcosa che si spezza quando sai di dover partire. Devi, non vuoi. Perdi le tue parole camminando. Quelle degli altri non ti piaceranno mai. Molti degli altri che incontrerai, sceglieranno per te le più taglienti, da vigliacchi.
Qualcuno no. Qualcuno setaccia dolcemente parole e frasi che possano essere comprese. Che possano portare un significato. Parole che possano essere il ritmo di un dialogo. Parole che avvicinano e che orientano. Parole che risuonano di dignità e che poi pian piano aiutano a trovare la strada di casa.
A tutti i ragazzi allievi del Corso per Operatore Agricolo organizzato dall'Agenzia Formativa IO VOLO e a tutti gli operatori che lavorano per un accoglienza di dignità e speranza che hanno commissionato per loro questo percorso formativo.
nellastessabarca.wordpress.com
