C'è un dubbio in me che non desidero tacere. Si fa portatore di domande e sollecitazioni, incoraggia i miei percorsi riflessivi. Questo dubbio mette in luce quanto sia sempre più diffuso il bisogno di rifugiarsi in un pensiero lineare. Lo collego ad una possibile ricerca di aumentare la sicurezza di sé. Quel pensiero lineare, antico, che guarda le cose in spiegazione di causa ed effetto. Pare un pensiero invocato a difesa delle proprie scelte vestite di pulito. Illuminate, chiare, lineari appunto. Sento l'emergere di una profonda sete, di un bisogno allarmato di dissetarsi di certezza. Come se di certezza se ne avesse bisogno per definire l'identità. Come se l'identità fosse concepita unicamente a forma di scultura, levigata e imponente nell'elegante gipsoteca.
Non è forse invece un'esigenza primaria il potersi evolvere trasformando il pensiero? Dico primaria in qualità di biologica. Non è forse con la continua contaminazione reciproca tra le cose che avviene ciò che siamo? Penso ad una cellula, ai processi metabolici che avvengono al suo interno. Non è forse con questa danza relazionale microscopica che restiamo in vita?
E allora, per restare in vita, ho il dubbio che si debba andare alla ricerca di un modo per educarci a mettere in connessione. Educarci ad individuare le connessioni possibili che stanno tra gli eventi, tra le persone, tra i gesti, tra le parole. Rintracciare le connessioni tra gli eventi e le persone, e tra le persone e i gesti, e tra i gesti e le parole. E così via... camminando un cammino incerto. Camminando verso movimenti imprevisti che emergono dalla relazione nuova tra le cose. Camminando così in un sentiero complesso, viaggiando leggeri e mutevoli.
Ho l'abitudine, in questi viaggi, di intrecciare un filo di lana rosso e tenere con me un quaderno fatto di pochi fogli colorati, in genere appaiono improvvise forme incantevoli.